Qualche mese fa, mi hanno molto stimolato le riflessioni di Eugenio Scalfari sul tema dell’identità. Il grande Giornalista si è interrogato su chi fossero oggi gli italiani. In me è aumentata la necessità di capire “io chi sono”, in quanto Libero Professionista e Dottore Commercialista.
Per essere sincero, in questa ricerca (per me non nuova) mi hanno sempre aiutato gli scritti di grandi Professionisti e Colleghi che, prima di me, si sono cimentati nello sviluppare il tema. Il punto di partenza era (ed è) sempre lo stesso. Da un lato, i Commercialisti che si propongono come operatori “a tutela della Fede pubblica” e propugnatori di una particolare Etica nella conduzione degli affari. Dall’altro lato, un’apprezzabile parte della società contemporanea che li considera poco più che complici di evasori e truffatori.
Per Scalfari, scoprire l’identità di un popolo (in questo caso, di una collettività) è esercizio arduo, se non addirittura impossibile. Per molti, il concetto stesso d’identità sarebbe valido per gli individui ma del tutto inappropriato per un collettivo. L’Io individuale poggia sul Dna di un individuo. La massa non ha alcun Dna che ne presidi l’identità. E’ per questo che “l’identità d’un individuo” avrebbe una stabilità molto maggiore di un’identità collettiva.
E’ evidente – seguendo sempre il ragionamento proposto – “che l’identità più stabile la si trova nelle Comunità”, ovvero nei gruppi di persone “che fanno vita comune e sono legate da una comune cultura” (una religione, un’ideologia, un’utopia). Assolutamente cangiante si presenta, di contro, l’identità della “Folla”, di quella “massa occasionale che si forma per cause esterne: un evento, una convocazione, una celebrazione, il discorso di un Capo”. La folla “è dominata dall’emotività degli istinti, esprime pulsioni inconsce, è facilmente manipolabile da chi possiede la capacità e gli strumenti per farlo”.
Più si struttura una “comune cultura” e più i Dottori Commercialisti assumono i caratteri di una Comunità e non di folla. Se ciò mi è chiaro, meno immediato mi risulta comprendere i fondamenti ideologici che realmente accomunano i 110.000 Professionisti economico/giuridici, oggi ricompresi nell’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili. Questa difficoltà non mi deriva da una lacuna di letteratura sul tema (peraltro ampia e diversificata) quanto da molte, variegate esperienze, maturate nella quotidianità della pratica professionale e nella frequentazione delle Istituzioni di Categoria.
Per quanto mi riguarda, tra i Colleghi che ho incontrato sulla mia strada ho riconosciuto grandi Intellettuali e liberi Pensatori, Uomini dello Stato e finanche “Eroi borghesi”. Mi è capitato, però, anche d’imbattermi in qualche “troppo libero pensatore del diritto”; in alcuni esercenti la professione adusi a tenere in conto le proprie esigenze molto di più di quelle degli altri; in soggetti abituati a stigmatizzare la “pagliuzza negli occhi altrui, senza tener conto della trave che trafigge i propri”. Quando ho ritenuto di avere le evidenze di comportamenti configgenti con la mia Etica (che ho pensato coincidere con quella della Categoria/Comunità) mi sono rivolto, come mio dovere, agli Organi di giurisdizione della Categoria. Ne ho anche toccato con mano la strutturale incoerenza, legata alla coincidenza dell’organo esecutivo (soggetto a giudizio elettorale) con quello giurisdizionale. Questo, però, è un altro discorso.
Il tema che qui mi sta a cuore è quello dell’identità culturale di Categoria. Una corrispondenza che si può appoggiare solo su di un “comune sentire”, su di un’Etica condivisa che operi da fondamento oggettivo e razionale per distinguere i comportamenti in buoni e cattivi, giusti o lesivi dell’altrui libertà, moralmente leciti o inappropriati. L’Etica – in quanto insieme di valori umani e civili che caratterizzano la vita collettiva e, con essa, quella individuale – è, per quanto mi riguarda, il primo fondamento della comunione all’interno di un Ordine professionale.
Senza Etica non c’è giustizia e, senza di questa, non c’è lo Stato. Personalmente, non sono certo che Hobbes abbia ragione quando afferma che “la natura umana è fondamentalmente egoistica e che, a determinare le azioni dell’uomo, sono soltanto l’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione”. Sono, però, convinto che è intorno all’Etica che si deve cercare (creare o ricreare) l’identità del Dottore Commercialista ed Esperto Contabile. Lavorando su Valori che devono divenire una cultura, fatta di tutela della legalità, della trasparenza e del libero mercato come base per ogni politica di sviluppo economico. Una cultura, infine, che deve alimentarsi di azioni concrete.
Per fare tutto ciò, è necessaria una piena assunzione di responsabilità della classe dirigente di Categoria. Questa, rifuggendo da ogni possibile opportunismo, deve segnare chiaramente la strada destinata soprattutto alle giovani e incerte generazioni di Professionisti, evidenziando in maniera precisa “dove è il bene e dove è il male”. Tutto ciò, ovviamente, a patto che s’intenda aggregare una Comunità e non semplicemente radunare una folla.
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